Mi è stato fatto un appunto
linguistico su “scendere la pentola dal fuoco”.
E' vero si tratta
di un solecismo,
ma quando parliamo e scriviamo, pensiamo inevitabilmente nel
linguaggio che si è stratificato per ultimo nella nostra mente.
Un po' come un dolce che mostra la
superficie ben decorata, e sotto nasconde qualcosa che dobbiamo
scoprire. Il mio linguaggio ha una “decorazione” siciliana,
perché vivo a Palermo.
Avrei potuto dire “tirare giù la
pentola dal fuoco” anche questo è un solecismo legato al mio
“ripieno” piemontese. In italiano non so come si dice, però
“tirare giù una pentola” non è da accademici della crusca!
La mia ignoranza quindi mi ha indotto
ad una riflessione.
Ora, ascoltate il suono della frase
“scendere la pentola” è come il decoro di una cassata siciliana.
Diciamo “scendi la pentola”, meglio ancora in forma riflessiva
quando chiediamo aiuto in cucina “scendimi la pentola”. I
siciliani esagerano sempre, l'anima barocca si manifesta sempre.
Ascoltate, invece, il suono di “tira
giù la pentola” ricorda un gianduiotto o una piccola bignola,
un suono senza esagerazioni, ricorda il concetto piemontese di
“esageruma nen”.
A proposito anche bignola o bignè
non sono linguisticamente puri, per questo mi piace ricordare che in
alcuni paesi della Sicilia, questo dolci sono chiamati bocconcini,
termine che li distingue dalla pasticceria siciliana più tipica, e
non per la dimensione del dolce, infatti la differenza tra una
bignola, o bocconcino, ed una “sfincitella di San Giuseppe” è nella filosofia
del pasticcino.
Anche il linguaggio della cucina,
dimostra la diversità della cultura regionale, ma anche la sua unità
culturale, quella delle mamme, nonne, zie che ci hanno cresciuto con
tante cose buone, e poco importa se sia stato un piatto di maccheroni
cacio e pepe, una fetta di pane toscano con vino e zucchero, oppure
un piatto di pasta con la salsa, ogni preparazione, anche la più
semplice conteneva sempre due ingredienti sofisticati ed ineffabili:
l'amore ed il rispetto per il cibo che non va mai sprecato.
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Ricette
Pasta 'ncaciata
gr. 250 di “bucatini senza buco”
che in Sicilia si chiamano “sienza" che però essendo quasi
introvabili possono essere sostituiti con il formato più grosso di
spaghetti o con i bucatini - gr 80-100 di pecorino siciliano
semi-stagionato, oppure caciocavallo semi-stagionato - uno spicchio d'aglio schiacciato - olio extravergine d'oliva (facoltativo) - pepe nero
Schiacciare in una ciotola lo spicchio
d'aglio, due terzi del formaggio grattugiato, una bella macinata di
pepe nero, aggiungere mezzo mestolo di acqua di cottura della pasta. Rimescolare bene per ottenere un
composto cremoso, versare la pasta cotta al dente ed amalgamarla alla
crema di cacio. Spolverare con il restante cacio ed una ulteriore
macinata di pepe. Un filo d'olio non fa parte della
ricetta, ma è da provare per il profumo sprigionato dall'olio
versato sulla pasta calda. Io però la preferisco senza olio, ma con
tanto formaggio e pepe.
Nota alla ricetta
Nota alla ricetta
Questa ricetta è la versione siciliana della laziale cacio e pepe. Il mio bisnonno, nonno di mia madre che
era un cuoco eccellente, mi ha trasferito, attraverso mia madre,
il dovere di rispettare le stagioni e le tradizioni, della regione e
della famiglia da cui proveniamo, questa è la sua versione della pasta 'ncaciata.
Pane col vino
Pane col vino
Di questa ricetta non si possono dare
dosi e neppure i rapporti vino acqua, dipende dal pane e da chi lo
deve mangiare. Fate la prova se non avete pane toscano,
va bene anche il vostro pane di uno due o tre giorni prima.
Naturalmente si può usare solo vino rosso, ma per i bambini occorre diluirlo. Una bella fetta di pane toscano spessa
un dito - Vino rosso - Acqua - Zucchero
Mettere nel piatto il pane, versare il
vino diluito con acqua sul pane e subito coprire con lo zucchero che
assorbirà il vino e diventando rosso. Naturalmente il vino rosso deve essere vino e non qualcosa che del vino ha solo il nome.
Nota alla ricetta
Nota alla ricetta
Questo pane lo preparava la zia Leda
alla sua nipotina che non mangiava nulla. Il vino era un Chianti dei
colli aretini che proveniva dalla vigna del cugino della zia, un
sacerdote, Don Filippo, che si
lasciava scappare qualche “maremma” solo quando giocava a briscola.
Pasta con la salsa
Pasta con la salsa
300 ml di passata di pomodoro - 1 spicchio d'aglio - 4 cucchiai di olio extravergine d'oliva - zucchero - sale - 250 gr di spaghetti
In un tegame basso, o in una padella,
versate 2 cucchiai di olio e lo spicchio d'aglio e quando l'aglio
comincia ad imbiondire spegnete il fuoco e fate continuare la
doratura, aggiungete la passata e rimettete sul fuoco. Fate cuocere a
fuoco vivace mescolando per sette, otto minuti. Aggiustate di
zucchero e sale, fate cuocere ancora qualche minuto fino alla densità
desiderata. Mettete da parte qualche cucchiaio di
salsa (circa 1/3). Prima di scolare la pasta accendete sotto il
tegame con la salsa. Scolate molto bene gli spaghetti versateli nel
tegame, spegnete il fuoco e rimestate. Servire finendo con la salsa
messa da parte.
Nota alla ricetta
Nota alla ricetta
A Palermo la salsa è esclusivamente
quella di pomodoro che si prepara con il pomodoro fresco, solo
d'estate e viene conservato per l'inverno. Vi darò la ricetta a
tempo debito, quando avremo il pomodoro fresco, vi spiegherò come
fare la salsa, che potrete conservare in bottiglie o anche
congelare.
Potete preparare intanto la pasta con la salsa usando una buona passata in commercio vi consiglio
la passata bio della Coop.
Riso e latte
Riso e latte
150-200 gr di riso per minestre (io uso il Vialone nano) - 1/2 litro di latte fresco - una noce di burro - acqua - sale - buccia di limone
Mettete a scaldare il latte, appena prima che inizia a bollire versatevi il riso, abbassare la fiamma, mescolare, aggiungere un pizzico di sale e, se piace, la buccia di limone. Far cuocere a fuoco basso, mescolando di tanto in tanto e se serve aggiungere poca acqua tiepida, il riso deve restare piuttosto morbido e cremoso. Quando il riso è cotto mantecare con una noce di burro fresco a fuoo spento. Si serve semplice o con una grattatina di parmigiano.
Da provare la versione dolce, gli ingredienti sono i medesimi, ma si aggiungono un paio di cucchiai di rasi di zucchero al latte. Naturalmente niente parmigiano, ma un filo di miele d'acacia ed un pizzico di cannella.
Nota alla ricetta
Quella descritta è una ricetta piemontese spesso ricordata da mio padre insieme alla omelette alla marmellata. Le preparazioni di riso e latte dolce si ritrovano anche nella tradizione siciliana, sotto forma di budini e frittelle di riso, ma anche nella tradizione toscana. Riso e latte sono alimenti semplici e disponibili facilmente a chi vive in campagna, quindi penso sia questo il motivo per cui, sotto forme più disparate, troviamo riso e latte in nella tradizione gastronomica delle regioni italiane.Da provare la versione dolce, gli ingredienti sono i medesimi, ma si aggiungono un paio di cucchiai di rasi di zucchero al latte. Naturalmente niente parmigiano, ma un filo di miele d'acacia ed un pizzico di cannella.
Nota alla ricetta
Siamo cresciuti a pastasciutta
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